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Waves.

  • Immagine del redattore: Redazione Sisma
    Redazione Sisma
  • 3 giorni fa
  • Tempo di lettura: 3 min

Waves è un film dello studio cinematografico A24 uscito nel 2019. Racconta la storia di una famiglia travolta dalle “onde” della vita: movimenti improvvisi, violenti, imprevedibili, capaci di distruggere e, a volte, di riportare a riva ciò che sembrava perduto. È un film duro, ma anche delicato e profondamente romantico. Oscilla tra le passioni negative e distruttive di Tyler e le effusioni lente, torpide e colme d’amore di Emily. È una storia di dolore e di perdono, di scelte irreversibili e di seconde possibilità.

Ridurre Waves a un film sul lutto sarebbe però un errore. Non è soltanto un racconto sull’imparare a convivere con la perdita di una persona che è ancora viva. È, forse soprattutto, un film sulla violenza: emotiva, culturale e fisica. Una violenza che non si manifesta solo nei momenti estremi, ma che permea il quotidiano.

Tra le scene che colpiscono di più ce n’è una in particolare: quella in cui Tyler litiga con il padre e arrivano alle mani. L’insulto più violento che Tyler riesce a concepire, nel pieno di una rabbia incontrollata, è la N-word. È un gesto istintivo, quasi automatico. Non nasce da una scelta consapevole, ma da un condizionamento profondo, interiorizzato: dall’idea che la cosa peggiore che si possa essere è neri, frutto di anni di odio razziale radicalizzato nella cultura con la quale si interfaccia. Il film non insiste su questo dettaglio, lo lascia scorrere in superficie, e proprio per questo risulta ancora più disturbante. Non è un’esplosione eccezionale, ma il sintomo di una violenza culturale che precede il personaggio e lo attraversa.

La violenza in Waves è ovunque. È contenuta e legittimata nello sport della lotta che Tyler pratica, è presente nella superficialità dei rapporti interpersonali che coltiva, pur senza apparente malizia, ed esplode nei suoi sfoghi emotivi e nelle sue reazioni impulsive. È centrale nel rapporto con il padre: un legame costruito sulle aspettative, sul sogno fallito dell’uno proiettato sull’altro, sul bisogno costante di essere il più forte, la consapevolezza di essere il più fragile. Trascorrono ore insieme senza conoscersi davvero. Tutto questo culmina nell’omicidio involontario che segna un punto di non ritorno nella vita di Tyler.

Ci si potrebbe soffermare su di lui, sul futuro brillante che sembrava attenderlo: i nazionali, la borsa di studio, la promessa di una vita perfetta nei sobborghi americani. Ma se ci fermassimo qui, cosa resterebbe da dire su Alexis?

Alexis è la ragazza di Tyler. Attraverso piccoli frammenti di quotidianità, ci viene mostrata come una ragazza innamorata, vivace, qualcuno di cui la vita stessa sembra innamorata. È una persona buona, che desidera soltanto essere ascoltata e sostenuta. Quando capisce che questo non accadrà, decide di prendere le distanze. Ma nemmeno questo basta. Alexis diventa il punto in cui la violenza smette di essere astratta e diventa irreversibile. È il tipo di personaggio che provoca rabbia nello spettatore: non nei suoi confronti, ma per ciò che rappresenta. Alexis è la vittima perfetta, un’altra statistica.

Con la seconda metà del film, Waves cambia prospettiva e linguaggio emotivo. La protagonista diventa Emily, la sorella di Tyler. Emily è il suo opposto. Inizialmente timida e silenziosa, riesce lentamente a uscire dal proprio guscio grazie all’amore che prova per il mondo che la circonda. Si innamora di un amore che le fa dimenticare di essere mai stata ferita. Eppure, dietro quella dolcezza si nasconde una rabbia profonda. Emily non riesce a perdonare suo fratello, e non vuole nemmeno provarci.

Analizza ossessivamente le sue azioni, i giorni che precedono il disastro, e si chiede in che modo avrebbe potuto evitarlo. Osserva come le persone intorno a lei riescano a perdonare, ed è spesso ella stessa a spingerle verso quella strada. Ma quando si tratta del proprio dolore, non riesce a compiere lo stesso passo. È il padre a indicarle la via del perdono, spiegandole che un odio di quel tipo finisce solo per distruggere chi lo porta dentro.

Emily rappresenta una forma di resistenza silenziosa. Incarna una risposta diversa alla violenza: non la negazione, ma la possibilità di trasformarla. È la speranza nei rapporti umani, un amore insostenibile e indomabile che, nonostante le cadute e le ferite, rimane sempre disposto a rinascere.

Il film si conclude con Emily che, tornata dal suo viaggio, decide di provare a costruire una nuova famiglia. Non perfetta, ma unita. Capace di convivere con le crepe lasciate dalla perdita. Waves si chiude senza promettere una guarigione definitiva, ma con qualcosa di più onesto: la consapevolezza che la guarigione non è mai un processo lineare, e che a volte la vita può ancora sorprendere con la possibilità di ricominciare.


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