Dopo la versione animata, quella live action, qualche film di Shrek e addirittura due versioni con Roberto Benigni, la storia del burattino più famoso al mondo incontra infine anche lo stop-motion (tecnica frame by frame che molti ricorderanno in Coraline o A Nightmare Before Christmas). Ma non è questa l’unica novità riportata dal nuovissimo Pinocchio di Guillermo del Toro, sbarcato su Netflix appena un paio di settimane fa.
L’esistenza di questo film può sembrare strana, dopotutto l’ultima volta che abbiamo avuto un film su Pinocchio è stato questo settembre, con la versione live-action di Robert Zemeckis, con Tom Hanks, che casa Disney ovviamente non ha fatto a meno di pubblicizzare in pompa magna. Viene da chiedersi quindi: perché un altro Pinocchio, nello stesso anno, dopo meno di tre mesi? La risposta a questo interrogativo non va cercata solo nelle diverse produzioni e nella loro competizione, ma soprattutto nei film stessi, e nel modo in cui raccontano la storia scritta originariamente da Carlo Collodi nel 1881.
Se il film di Zemeckis (distrutto dalla critica) non si discosta più di tanto dal film originale del 1940, della stessa Disney e che tutti abbiamo visto almeno una volta, quello di Del Toro presenta
importanti innovazioni alla favola, pur rimanendo nel solco della tradizione.
Infatti vediamo nella prima scena un Geppetto che ha perso il figlio, Carlo (omaggio ovviamente a Collodi), durante i bombardamenti della Prima Guerra Mondiale, e che sembra aver perso ogni
ragione per vivere. E non sarà prima dell’ascesa al potere del fascismo che vedremo “nascere” Pinocchio, che si dimostra da subito un figlio molto meno diligente e più scapestrato di Carlo, nonostante gli sforzi di un grillo parlante dal carattere del tutto nuovo (e doppiato da Ewan McGregor). Il burattino attira subito le attenzioni della cittadina, un piccolo borgo italiano nel periodo delle leggi razziali, e in particolare il Podestà, qui padre di Lucignolo, vede in lui il perfetto soldato da consacrare allo sforzo bellico e al Duce. Si dà quindi alla vicenda molta più profondità, dandole contesto storico e offrendo dei precedenti al povero Geppetto.
Ma, come detto, la tradizione è ancora lì, solo arricchita da queste novità. A Pinocchio si allunga il naso, si bruciano i piedi, rifiuta di andare a scuola, e in generale fa disperare il padre, ormai vecchio e stanco. I due sono lungi dall’essere la perfetta coppia padre-figlio, come erano invece Geppetto e Carlo, e il quadro è spesso sconsolante, ma non tutte le famiglie sono perfette, né si pretende che lo siano: finché c’è l’affetto a legarli, i due familiari riescono a sopportare e
ad affrontare ogni avversità. Ma evitiamo di spoilerare oltre, voi approfittate per prepararvi una cioccolata calda, spegnere il telefono per due ore e godervi una nuovissima versione di una vecchissima favola, che dimostra di avere ancora qualcosa da insegnare.
Luciano Molfini
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