Dal balcone di casa mia, al terzo piano di una palazzina affacciata su via Vincenzo ArangioRuiz, questa mattina sembrava tutto tranquillo, immerso nella solita routine natalizia. L’aria fredda di dicembre portava con sé il profumo delle feste, e le lucine già accese dei negozi scintillavano sotto la luce del giorno. Era il 13 dicembre, il giorno in cui si festeggia Santa Lucia, simbolo di luce e speranza, e nulla lasciava presagire che qualcosa avrebbe interrotto quella calma di lì a poco.
Un odore forte e fastidioso ha spezzato l’armonia, salendo fino al mio balcone e disturbando la serenità del momento. Mi sono affacciata, cercando l’origine di quell’odore insolito, ma non riuscivo a capire bene da dove provenisse. Poi l’ho vista: una vecchia Punto grigia avanzava con lentezza, ostinata, mentre dal cofano si alzava un fumo bianco e denso che portava con sé un odore acre di bruciato.
Non è stata l’auto in sé a catturare la mia attenzione, ma la figura della donna che la guidava. Poco dopo, alcuni passanti l’hanno fermata e l’hanno fatta uscire a forza dall’abitacolo, capendo subito cosa stava per accadere. Lei, però, sembrava diversa. Sembrava uscita da un altro tempo: i capelli color rame raccolti con cura, i passi lenti, il volto immobile, rivolto in avanti. Non c’era paura nei suoi occhi, né alcun segno di sorpresa, come se non stesse capendo o, forse, come se avesse già accettato ciò che stava per succedere.
I passanti, superata l’esitazione iniziale, hanno aperto lo sportello per aiutarla a uscire. Lei, però, non si è opposta né ha collaborato. È scesa lentamente, con una compostezza quasi solenne, e si è allontanata sul marciapiede senza mai voltarsi indietro. Pochi attimi dopo, il fuoco ha iniziato a divampare, avvolgendo completamente l’auto, ma lei sembrava estranea a tutto ciò che accadeva. Fissava il vuoto, con una calma inquietante, come se il mondo intorno non la riguardasse affatto.
Sono rimasta a osservarla, cercando di capire il suo atteggiamento ed espressione, mentre il freddo mi assaliva sul balcone e insieme ad una sensazione di impotenza. Era rassegnazione? Indifferenza? O forse c’era qualcosa di più profondo in quel suo atteggiamento così lontano da qualsiasi reazione comprensibile? Mi è sembrata una figura uscita da un’opera di Pirandello, una di quelle maschere che celano una verità segreta e inaccessibile. La sua calma, tanto fuori luogo, suggeriva qualcosa di complesso, che mi sfuggiva.
Pochi istanti dopo, l’auto è stata completamente avvolta dalle fiamme, e un’esplosione ha coinvolto altri veicoli vicini. Il boato mi ha fatto sobbalzare, ma la donna, sempre composta nel suo mutismo, non ha nemmeno girato la testa. In quel suo avanzare lento e dignitoso, c’era qualcosa di profondamente umoristico, ma nel senso pirandelliano del termine: non un umorismo che fa ridere, ma quello strano effetto che si prova di fronte al contrasto tra realtà e apparenza.
L’auto, distrutta, sembrava più di un semplice mezzo. Forse era un simbolo: un passato che stava bruciando, una parte di vita che non poteva più essere trattenuta. E lei, con quel distacco così surreale, sembrava saperlo. Guardandola, ho avuto la sensazione che stesse lasciando dietro di sé non solo un’auto in fiamme, ma un frammento della sua esistenza che aveva deciso di abbandonare per sempre.
Ripensandoci, mi è venuto in mente ciò che Pirandello diceva dell’umorismo: quel sorriso amaro che nasce di fronte all’assurdità della vita, quando si è costretti a lasciare andare ciò che non si può salvare. In quella scena così strana, quasi teatrale, ho intravisto un messaggio: la vita è imprevedibile e, a volte, ci obbliga a osservare, impotenti, ciò che sfugge al nostro controllo. Forse, senza saperlo, quella donna aveva accettato tutto questo, avanzando tra le ombre di un giorno che, ironicamente, celebrava la luce.
di Piera Coletta
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