Febbraio 1665
Disteso sul letto della sua cabina, privo di forze per via di una passeggera influenza, il fisico Christiaan Huygens studiava con attenzione i moti dei pendoli di due orologi agganciati ad una robusta trave in legno.
Nove anni prima, nel 1656, Huygens aveva depositato il brevetto dell’orologio a pendolo per poi iniziarne la costruzione l’anno successivo. L’avvento di questi rivoluzionari segnatempo portò un enorme miglioramento nella precisione ed affidabilità degli orologi, e la loro trascurabile perdita di secondi spinse gli scienziati a fornirsi di simili oggetti per svolgere i propri esperimenti.
Lo stesso Huygens volle usufruire della propria invenzione per scopi scientifici. Sapeva che un orologio preciso avrebbe permesso alle ciurme dei vascelli diretti verso terre lontane di misurare in maniera infallibile la longitudine secondo necessità, potendo avere come punto di riferimento l’orario di casa. Rimaneva l’incognita del movimento del mare, il quale avrebbe potuto condizionare l’oscillazione del pendolo e di conseguenza la precisione dell’orario. Per ovviare a questo problema, il fisico olandese ideò una soluzione: avrebbe agganciato due orologi a pendolo, e non uno così da non azzerare gli sforzi in caso di malfunzionamento o rottura, ad una massa grande abbastanza da non subire l’instabile variabilità delle onde.
Per questa ragione nel 1665, costretto nel suo letto, Huygens osservava i movimenti di due orologi a pendolo. Quanto però seguì, stupì il fisico in quanto egli non aveva mai osservato un comportamento simile prima di allora: dopo aver lasciato oscillare i due pendoli per circa mezz’ora, il loro movimento si uniformò diventando “complementare”. Quando uno degli orologi raggiungeva l’estremo sinistro del periodo di oscillazione, l’altro raggiungeva l’estremo destro. Quando uno si trovava a metà strada tra gli estremi del periodo, l’altro si trovava nella stessa posizione e così via. Le oscillazioni si trovavano in controfase.
Il fisico provò a ripetere il fenomeno, convinto che la sua malferma salute gli stesse giocando brutti scherzi, ma spostando i pendoli lungo l’asse, invertendone le posizioni, sfasandone le oscillazioni, il risultato rimaneva invariato; i pendoli erano destinati a sincronizzarsi. Huygens pensò allora che la comunicazione tra i due pendoli stesse avvenendo tramite l’aria da loro spostata durante le oscillazioni, o tramite correnti indipendenti dalle oscillazioni. Provò dunque a posizionare un separé tra i due orologi; ancora una volta i pendoli finivano per omologarsi. La svolta avvenne quando i due orologi furono sganciati dalla trave in legno e posizionati su pareti distanti e opposte: i pendoli assumevano finalmente un moto autonomo, la distanza tra i due giovava all’emancipazione delle oscillazioni.
Huygens, dopo aver sviscerato ogni possibile combinazione dell’esperimento, giunse alla conclusione che il fattore responsabile della sincronizzazione dei due pendoli fosse la trave.
Quando agganciati lungo lo stesso asse, i movimenti degli orologi condizionavano la vibrazione della trave, la quale secondo dopo secondo, oscillazione dopo oscillazione, ridistribuiva ai pendoli, in maniera proporzionalmente adeguata, le sollecitazioni ricevute dagli stessi, provocandone a lungo andare il reciproco adeguamento.
Comportamenti analoghi sono riscontrabili in altri sistemi oscillanti creati dall’uomo. Basti pensare ai metronomi: prendendo un numero qualsiasi di metronomi e posizionandoli su una tavola instabile (es.: poggiata su delle lattine) è possibile osservare come l’oscillazione di questi condizioni il movimento della tavola, la quale a sua volta modifica il moto dei pendoli portandoli verso un inesorabile combaciamento. Una volta raggiunto l’equilibrio, al contrario di quanto accade con gli orologi, i metronomi si trovano in fase, dunque quando il pendolo di uno raggiunge il limite sinistro del proprio periodo di oscillazione, così fanno gli altri presenti sulla tavola.
Seppur questi sistemi risultino interessanti, il vero fascino del fenomeno lo si riscontra in natura.
Il ritmo col quale le lucciole illuminano la notte, l’ordine dei banchi di pesci utile ad allontanare predatori malintenzionati, le spettacolari coreografie dei più variegati stormi d’uccelli ed infine la tendenza di un pubblico ad applaudire con lo stesso ritmo. Questi eventi, i quali scandiscono la quotidianità di animali e umani, sono espressione dello stesso fenomeno, immagine dell’armoniosa tendenza della natura.
Una lucciola condiziona il ritmo col quale le sue vicine si accendono e spengono scatenando una reazione a catena così come una persona in un teatro gremito di persone detta la cadenza degli applausi, portando verso un graduale assoggettamento che spesso converge in un improvviso e inatteso unisono.
L’universo che sa essere tanto complesso, disordinato e spaventosamente casuale ci regala casi come questi, dove l’ordine regna sovrano.
Sorge spontanea, però, una domanda che mira a concepire una visione più ampia di questo fenomeno. E se esistessero campi dove la sincronizzazione è teoricamente riscontrabile ma la nostra attuale evoluzione tecnologica o la nostra struttura emotiva non ci permettono di percepirla? E se la terra fosse la trave e noi fossimo i pendoli che ne condizionano anche se in piccolissima parte la vibrazione, quale sarebbe il ritorno? In che forma la grande casa che ci ospita restituirebbe al mittente il movimento ricevuto? E come si manifesterebbe la sincronizzazione, in che modo gli esseri viventi diventerebbero indissolubilmente legati?
Probabilmente le leggi utilizzate per la misurazione del livello di interazione tra pendoli “comunicanti” non sarà mai applicabile su un sistema così vasto e astratto, ma è lecito immaginare questo grandioso legame e fantasticare sulla sua esistenza, o meglio mettere in atto la sua esistenza perché ognuno con le proprie azioni, i propri pensieri, le proprie decisioni, condiziona il bagliore delle “lucciole” che gli stanno attorno.
Lorenzo Bosco
Meraviglioso articolo. Bravo!!!