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Immagine del redattoreRedazione Sisma

non sicut ego volo, sed sicut tu

Dunque finisce così, la squallida commedia? In fondo ci ha fatto sorridere, qualche volta con le lacrime agli occhi. E il sipario si chiude, ma nessun applauso che scrosciando trascina la folla in un impetuoso delirio dionisiaco… e le luci si riaccendono, gli spettatori si alzano, volti mogi s’avviano sconsolati verso l’uscita, con quel saporaccio amaro che s’annida tra i denti e la lingua e che a malincuore cercano di buttar giù.

Dalle quinte, neanche un suono, chi c’era sul palco? Le luci si spengono, una, dimenticata, fa compagnia all’unica anima rimasta. Continua a restare immobile, indolente, cogitabonda al posto assegnatole.

Lo sguardo, fisso sul nulla che le sta di fronte, quel nulla sconfinato, un po’ ieratico un po’ mendico, su cui l’immaginazione lavora instancabile, l’aiuta, il buio che danza, sgraziato, sinuoso, tra le ombre. Prova, un po’ impacciato un po’ testardo: desidera confondersi tra loro.

Chissà, se fosse andata in maniera diversa… saremmo stati felici?

Imperterriti corriamo, senza mai voltarci indietro, bruciamo le tappe, bruciamo all’Inferno, ma in Dio nessuno ci crede, qualcuno lo proclama morto, asserisce persino che l’abbiamo ucciso!

Assassini?! Noi, che il mondo lo vogliamo migliore. Per tornaconto personale per magnanimità, fate passare, ecco che arriva! Si acclama, si adora, si ama, nostro signore. Ancora una volta.

Chiediamo miracoli, ubriachi di gloria, in ginocchio per innalzarlo, lasciateci credere! Ma chi, adesso, l’agnostico?

È generoso, innegabile; l’ammiri, è suadente. Ma resta seduto, in poltrona, a chiedersi, su quel palco polveroso e consunto, un po’ scricchiolante un po’ vissuto, chi mai si fosse esibito.

Perché non ci credi? Testardo, ottuso! Non capisci che… è tutto ciò che ci resta.


lat. progressus, dal part. pass. di progredi “progredire” (comp. di pro “davanti” e gradi “camminare”)

Avanzamento, evoluzione, profitto, miglioramento.


Quel poeta tutto accartocciato, non è la conferma disperata del credo degli studenti (“troppo studio fa male!”), potrebbe, ma non verterà su ciò la dissertazione in questione.

Ci vuole coraggio a restare soli in un tetro teatro solitario. Leopardi era un obiettore della peggior specie: un obiettore consapevole e disilluso, al punto di non poter cadere nel tranello teso dal progresso.

Lettori avventati! Non c’è l’intenzione di screditare l’evoluzione tecnologica o scientifica, né di propugnare il ritorno all’età dell’oro. Leopardi per primo riconobbe la validità del progresso, inteso come miglioramento.

Eppure, non sempre progredire, etimologicamente parlando, vuol dire migliorare: è semplice andare avanti, per scelta o per inerzia.

La Natura, come velo di Maya, avvolgeva l’uomo teneramente. Colpa di quest’ultimo se poi, allontanandosene, ha rotto il sortilegio! L’illusione di essere felice.

Be’ almeno il suo intelletto ne ha riguadagnato dignità e dunque s’è messo a fare quello che l’intelletto di solito fa: pensare.

Pensando pensando, è giunto alla conclusione che forse la colpa era di quella madre che l’ha partorito male, capace di concepire l’idea della felicità ma non di assaporarla appieno. E nessuno vuole accettare la cruda realtà di una malattia congenita.

L’uomo malato ha smesso di credere nella Natura, nelle sue origini, adesso decide del suo destino, crede nel progresso!

Non siamo più, allora, prede?

La strada che seguiamo, ormai dalla Seconda rivoluzione industriale, ci ha soddisfatto: abbiamo smesso di sopravvivere. Non dobbiamo spaccarci le ossa per un pezzo di pane raffermo, possiamo curarci e vivere a lungo, viaggiamo, abbiamo numerose possibilità.

Ma ne siamo assuefatti, ci siamo persi per rincorrerlo come folli. Rincorrere chi, poi? Qual è l’obiettivo? Profitto o vite umane?

Non commettiamo gli stessi errori: non facciamo risorgere Dio per pugnalarlo l’ennesima, terribile volta.

Cercare rifugio dentro la trappola è strategicamente fallimentare. C’è un buco, forse nel ventre, forse nel petto o peggio nella testa, che non si può riempire di scienza né danaro, è troppo… umano.


Libera F. Caramiello

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