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La funzione didascalica della storia

É frequente tra gli studenti nutrire forme di insofferenza nei confronti di una materia come la storia; troppo di rado essa è studiata secondo la logica che, in realtà, è a suo fondamento. Si cade, sovente, nella trappola dello studio nozionistico, si finisce per memorizzare un percorso non sempre coerente costituito da nomi, avvenimenti, date, ma il corretto studio della storia ha spesso rivelato la natura ricorrente delle cause fondanti la fenomenologia dell’umanità.

È fallace la considerazione lineare della storia, presente, ad esempio, nella Fenomenologia dello Spirito di Hegel o più in generale nello storicismo, in quanto convinzione di un percorso necessario e strettamente migliorativo dell’uomo nel lineare fluire del tempo. Sarebbe invece più acuto, da parte dello storico, postulare una visione ciclica del tempo: egli potrebbe rispolverare il passato così come un bravo archeologo scava minuziosamente il sottosuolo, raccogliendo quanto di negativo e tragico (non sono da escludere le positive conquiste dell’umanità, ma si sa: è per istinto di sopravvivenza che l’uomo tende a ricordare meglio gli errori) è accaduto, comprendendone la natura e le cause, provando a proiettarlo nella società della propria epoca, individuando le similitudini e i potenziali pericoli che vi si nascondono sotto una nuova veste.

Basterebbe, per avvalorare la tesi, fornire un semplicissimo esempio di ricorrenza storica: il capro espiatorio. Durante i periodi di crisi, l’uomo, piuttosto che scandagliare la sua dimensione interiore ed estirpare il problema alla radice, è solito additare ciò che lo circonda, in modo particolare chi si ritrova potenzialmente più debole poiché egli (l’uomo) ha l’assoluto bisogno di non far ricadere la colpa su di sé, aggrappandosi a false certezze e convinzioni, che, infine, sprofondano questi nel dogmatismo e nell’ideale.

Si prenda in esame il caso del popolo ebraico, da sempre perseguitato a causa dell’intrinseca diversità che esso conserva, tuttora, in una certa misura, nell’attuale società globalizzata. Gli Ebrei sono stati perseguitati, come ben noto, anche in età recente, fino alla Seconda guerra mondiale: i tedeschi, in tempi di crisi economica, ben decisero di individuare un colpevole plenario di tale problematica, con la cui eliminazione si sarebbe giunti ad una florida conclusione. Tale esempio potrà sembrare banale, ma chi crede che la tesi avanzata sia banale, sta mettendo a rischio sé stesso e la società intera, poiché capace di dimenticare, o quantomeno di relegare alla dimensione passata, una tale catastrofe.

Si è verificato lo stesso fenomeno, riportando la tesi a tempi non sospetti, proprio in Italia, con il caso dei migranti africani, sta accadendo con i cosiddetti no-vax (da notare come sia errata l’associazione di un non vaccinato contro un virus ad una persona che nega l’evidente beneficio della ricerca medica), come se tutti i problemi di un paese possano esser legati ad una risicata minoranza, come se la criminalità potesse essere risolta con il tragico e voluto annegamento di migliaia di persone, come se l’esorbitante numero di contagi possa esser ricondotto all’esistenza dei non vaccinati piuttosto che alla noncuranza dei “superuomini”.

Uno studioso lucido e ragionevole condividerebbe le sopracitate tesi, in quanto cosciente della continua pericolosità ed astuzia delle cause storiche, fautore di uno studio critico ed ermeneutico della storia, cosciente dell’importanza cruciale di un ciclico confronto dialettico tra presente e passato.

L’invito è, dunque, quello di non fermarsi ai confini delle proprie convinzioni, sebbene tale ottusità offra indubbi ripari, quanto piuttosto aprirsi a confronti edificanti che ci permettano di frammentare ciò che ci circonda ed analizzare i suoi moventi, per giungere a logiche previsioni, con ogni probabilità già ripetute infinite volte nel cosiddetto passato. Ti voglio b

Alberto Mastandrea

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