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Il consenso, e perché dovremmo iniziare a parlare di desiderio

“Acconsento” è l’opzione che tutti selezioniamo quando sullo schermo del cellulare appare il prolisso documento che riporta i termini e le condizioni di un sito, di un’applicazione. È un gesto ormai meccanico, che facciamo senza addentrarci nei meandri del documento. È un gesto sbrigativo, fatto spesso senza ponderazione né consapevolezza. È evidente, quindi, quanto il consenso espresso in quel momento sia in realtà relativo. 

Il consenso, in generale, consiste nel permettere esplicitamente che un atto si compia. È una parola chiave per il femminismo, relativa soprattutto a violenze sessuali e prostituzione. Per questo è un concetto con un peso e una rilevanza enormi; ma è pericoloso non riconoscere e segnalare i suoi limiti. 

Innanzitutto, il suo significato implica l’esistenza di un soggetto attivo, che chiede il consenso, e uno passivo, che acconsente. Questa dinamica è stata propriamente descritta da una attivista, Catharine MacKinnon, come uno “squilibrio di potere”. Da un lato c’è chi richiede, e dall’altro c’è chi, con un potere più limitato, può solo agire in risposta. 

Dal punto di vista giuridico, un rapporto è legittimo in presenza del consenso. Ma le stesse legislazioni stabiliscono l’invalidità del consenso nei casi in cui, per esempio, la vittima si trovi in uno stato di incapacità fisica o mentale. Riconoscono, quindi, che la disparità di potere tra i due individui in certi casi sia troppo grande, e che quindi il consenso dato non sia davvero volontario. 

Per di più, il consenso può essere ottenuto in svariati modi: attraverso una transazione economica, con la manipolazione, o tramite la coercizione. 

Il concetto di consenso, quando si deve stabilire se un atto sessuale sia stato o meno una violenza, è insufficiente.

Dovrebbe essere sostituito con qualcosa di inviolabile, come il desiderio. 

Il desiderio non può essere comprato o estorto. Non è mai passivo, riguarda sempre un soggetto. 

Chi è un soggetto, non “acconsente” a un rapporto sessuale; invece lo desidera, lo perpetua, lo fa per il piacere di farlo, non per una pressione esterna. 

È un concetto inconfutabile che impedisce che l’attenzione, nei casi giuridici, si concentri esclusivamente sulle azioni della vittima. Invece, permette che ci si focalizzi sull’atto, e sul suo responsabile. Catharine MacKinnon propone una revisionata definizione della violenza sessuale, nella quale, non a caso, non parla di consenso:

"L'aggressione sessuale o stupro è un'invasione fisica di natura sessuale in circostanze di minaccia o uso della forza, inganno, coercizione, sequestro o abuso di potere, di fiducia, o di una posizione di dipendenza o

vulnerabilità."

Nella sua definizione, la forza non è soltanto quella fisica: è considerato “uso della forza” anche lo sfruttamento del proprio privilegio basato su “età, differenza di capacità fisica o mentale, sesso e genere, immigrazione, status, classe, sessualità, casta.”

Perché, come Catharine MacKinnon stessa afferma: "non si può acconsentire alla disuguaglianza".

~B.C.

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