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  • Immagine del redattoreRedazione Sisma

A radical feminist, not a fun one

“Quello che credete di sapere su Andrea Dworkin è come minimo una mezza verità, se non proprio una bugia. Non potrebbe esserci né servirebbe nessuna motivazione più grande per scoprire il suo lavoro, nessuna ragione più forte per esplorarlo, che il fatto che una miriade di voci vi dica di non farlo.“ - Finn Mackay, attivista femminista.

Quello che sapete su Andrea Dworkin è proprio una bugia, nient’altro che il prodotto di prese in giro, insinuazioni e insulti. Il mero fatto che la maggior parte di essi riguardi il suo aspetto fisico, e non i suoi contenuti, dovrebbe essere sufficiente per demolirne la validità. Per decenni le è stato riservato un trattamento vergognoso, e in rete è ancora possibile sentirne l’eco. Recentemente molte femministe stanno riesumando i suoi pensieri, seppelliti da anni di narrazioni d’odio diffuse per impedirne la lettura. Le sue teorie sono da inserire in un contesto diverso dal nostro, quello statunitense durante la seconda ondata del femminismo, eppure ci riguardano così tanto direttamente da poter essere considerate espressione ante litteram del movimento #METOO. Quelle che hanno davvero conosciuto Dworkin la ricordano come una visionaria, appassionata e determinata, che incantava le sue uditrici con la sincerità e la forza delle sue testimonianze. Celebre per il suo impegno per le donne, in realtà è stata anche un‘attivista per il movimento antirazzista e quello pacifista. Proprio durante una manifestazione contro la guerra in Vietnam viene arrestata e incarcerata a New York. È lì che subisce una violenza sessuale camuffata da “esame vaginale”; un brutale abuso che ha reso pubblico, causando così la chiusura del carcere. È stata una vittima, ma non ha intrapreso la lotta femminista per questo. Lo ha fatto perché “tutte le donne vengono ridotte a vittime e perché il femminismo è il nostro movimento di resistenza”, suggerisce ancora Mackay. Eppure quello che circola attorno al suo nome è altro: lei è la “donna che odia gli uomini”; una bigotta “anti- sesso”, ignorante e frustrata. Insomma anche lei, come quasi tutte le femministe che si schierano in prima linea, è stata bersagliata ampiamente e soprattutto ingiustamente. In merito al presunto odio per gli uomini lei stessa affermò: “Non siamo femministe perché odiamo gli uomini; siamo femministe perché crediamo nella loro umanità, nonostante tutte le prove contrarie.”

Un messaggio che emana tutt’altro.

Andrea Dworkin è stata un’oratrice dalla grandissima statura intellettuale, politica e umana, che “voleva assolutamente ascoltare quello che le altre donne avevano da dire sulle sue idee, voleva sentirle parlare delle loro idee e delle loro pratiche femministe”. Il suo linguaggio è diretto e conciso, e anche sconcertante. Le sue conclusioni potrebbero lasciare qualche dubbio o titubanza, ma il suo lavoro è assolutamente necessario. Mackay ci viene nuovamente in aiuto: “Non credete a quello che sentite dire sul Femminismo Radicale di Dworkin, scopritelo da voi; potreste persino trovarvi d’accordo.”


B. C. A. Luongo


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