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  • Immagine del redattoreRedazione Sisma

Ubi solitudinem faciunt, pacem appellant.

Corpi accartocciati, torturati, ammassati, gettati in fosse comuni, corpi di donne violentate, di bambini sparati, di soldati caduti. Inermi, senz'anima di fronte alla morte, sono tutti uguali. Pareti impregnate di sangue, secco sul pavimento, che dipinge le strade e che verrà rimosso ma indelebile sarà il ricordo del massacro di un popolo che, votato alla resistenza, sfida la morte.

I corpi ritorneranno alla terra, per chi troverà degna sepoltura o chi giace nelle fosse comuni, il corpo di quel soldato, di quella donna, di quel bambino, di quell’uomo non esistono più. Il problema è di chi rimane e deve ricominciare a sperare, a lottare, con i piedi tra le macerie, a mettere in salvo i propri figli, impugnare un fucile ed imparare a sparare per difendersi. Sul fronte bisogna farsi strada fra un campo di mine, segnare il gruppo sanguigno sul braccio, per attraversare la frontiera, uscire dal rifugio ed incamminarsi consapevole del rischio di poter essere sparato, che c’è la possibilità di non tornare, che si possa morire di fame e di sete e senza più una patria. Ci si trova costretti a dover esporre sulla tua auto, diretta verso destinazione incerta, la scritta: “bambini”, nella speranza di non essere attaccato. E pensi che sia semplice arrivare al confine? Perché non dovresti morire prima? A cosa saranno costretti ad assistere i tuoi bambini? Dopo che hai salutato tuo figlio di diciassette anni e tuo marito, dormirai la notte? Riuscirai a non girarti più per cercare il loro volto in lacrime? Sei chiamato alla resistenza. Ma sarai pronto a sparare? A uccidere? A torturare?

Cosa accade nella mente quando si uccide? Tu, che fino a ieri andavi a lavoro e litigavi con tua moglie per le bollette da pagare, che fino a ieri insegnavi matematica, che fino a ieri frequentavi la facoltà di ingegneria e andavi a mangiare fuori con gli amici. Anche quando la guerra finirà come si potrà affrontare tutto ciò? Le ferite non sono solo quelle lasciate sul campo di battaglia, ma quelle di un'anima sanguinante, violata e privata della sua esistenza. Quando tutto finirà, cosa pensi che rimarrà nel cuore di un ragazzo di diciassette anni che ha perso il conto delle persone che ha ucciso? Non sarà morta anche la sua anima? Un ragazzo che ha visto carri armati saltare in aria, compagni bruciare vivi. Le vere vittime della guerra sono i civili, la popolazione è sempre la vittima immolata destinata alla sofferenza, alla sottomissione, al sacrificio. La guerra non è mai la soluzione. Il primo diritto è alla vita, prima degli ideali di libertà. Difendersi è legittimo. Ma il chiedere “Cessate il fuoco” e poi fornire armi può essere un messaggio contraddittorio? Fornendo armi si alimenta un conflitto? Può significare altri morti, altro sangue, altro odio? L’odio genera soltanto altro odio. Ogni essere vivente su questa terra dinnanzi alla morte è uguale ad ogni altro, impotente, ma ha un diritto ed un dovere fondamentale: la vita. Il diritto alla vita che viene prima di tutto. Sono sempre i civili a pagare il prezzo più alto e la verità è che in guerra non c’è mai un vincitore, perché tutti perdono una parte di sé. Il conflitto ucraino-russo non è altro che uno dei tanti conflitti legati ad iniziative belligeranti tra potenze imperialiste. L' invasione dell’Ucraina non è certo l’unico conflitto che ha provocato un massacro di civili. Non dimentichiamo l'invasione degli Stati Uniti in Iraq (250.000 morti circa, con conseguenze devastanti anche a lungo termine come la nascita di Al Qaida, la caduta delle Torri Gemelle). E del genocidio Armeno? Del massacro di Aleppo in Siria? Dell'invasione del Rojava d parte Turchi? Degli immigrati caduti in mare a largo del mediterraneo? Scriviamo la parola Pace sui cartelloni, sulle bandiere, Pace significa volere la fine di un conflitto lunghissimo e terribile, in tutto il mondo. Bisogna educarsi alla Solidarietà per tutti i popoli. Significa donare pace a chi ci sta intorno, accoglienza assistenza sanitaria a tutti: ai bimbi curdi, ucraini, africani, senza esclusione alcuna. Per mare per terra ovunque il grido di sofferenza arrivi a raggiungere la nostra coscienza. Portare la pace significa donarla ogni giorno a qualcuno che non la possiede. Si deve partire da poco per arrivare a tanto, partiamo da “io” per arrivare a tutti. Regaliamo e operiamoci dunque per la pace di tutti i paesi in guerra: per la fine della violenza in America centrale, per la fine del terrorismo nel Burchinafaso, per la pace nel Camerun occidentale, per gli accordi di pace in Columbia, per la pace nella Repubblica democratica del Congo, per la fine delle tensioni nella penisola coreana, per la pace in Etiopia, per la pace e la fine di ogni violenza in Iraq, per la fine delle tensioni fra azeri e armeni, per la convivenza pacifica nel Libano, per la pace in Libia, per il Messico e la fine delle violenze causate dal narcotraffico, per il Myanmar, per la pace e la fine del terrorismo in Nigeria, per la fine degli attacchi e delle violenze nel nord del Mozambico, per la pace nella repubblica Centrafricana, per la regione della Casamance in Senegal, per la pace e la fine di ogni violenza in Siria, per la pace in Somalia, per la fine di ogni violenza negli Stati Uniti affinché si intraprenda la via della pace, per gli accordi di pace nel sud Sudan, per la fine della guerra in Ucraina, per la pace nello Yemen, per la pace e la fine di ogni violenza in Terra Santa. Si deve diffondere la pace partendo dal proprio piccolo per arrivare a qualcosa di più grande.


Maria Martone

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