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Jin Jiyan AZADÃŽ

"Ci sono sempre state persone che hanno resistito, prime tra tutte le donne. C'è una grande storia delle donne e della loro resistenza che non è mai stata scritta."(Sehîd Delal Amed). In Kurdistan "l'isolamento tra montagne, che proteggeva la cultura della dea madre, ha fatto sì che molte donne rimanessero potenti, con una mente lucida e forti nella propria resistenza."(Heval Xelat). La donna curda vede due realtà: c'è chi è assoggettata all'uomo e chi conosce l'indipendenza. Le autorità irachene, iraniane, siriane e turche non hanno mai risparmiato la zona da attacchi, come nel massacro di Dersim, per "turchizzare" il Kurdistan. La lingua curda fu vietata come la possibilità di celebrare tradizioni curde pubblicamente. Con la fondazione del Pkk (partito dei lavoratori e delle lavoratrici del Kurdistan) che vede una certa partecipazione femminile, ha inizio un importante periodo di repressione da parte dello stato turco. Molte donne sono state incarcerate, torturate con elettroshock, bastinado (forma di tortura in cui vengono inflitti colpi sotto la pianta dei piedi), ma il sentimento di rivoluzione in loro è troppo forte e l'esercito turco non riesce ad estorcere alcun tipo di informazione."Il nemico si godeva la sua vittoria, ma c'era ancora una vena di vita che incuteva paura e che era la speranza segreta dei prigionieri."(Heval Sara). Le torture vengono "femminilizzate": le donne vengono spogliate e perquisite, ogni atto di difesa viene punito con lo stupro. Anche gli uomini vengono minacciati, con atti di violenza sulle loro compagne, e questo costringe alcuni di loro alla resa. Ma le donne resistono, come Heval Sara, uccisa a Parigi nel Centre d'information sur le Kurdistan da un assassino legato, secondo fonti giornalistiche, ai servizi segreti Turchi. Nelle elezioni del 1992 Leyla Zana è la prima donna curda ad accedere al parlamento turco, entra in aula per prestare giuramento indossando i colori vietati della bandiera curda e parlando nella sua lingua madre "in nome della fratellanza tra i popoli turco e curdo" e viene imprigionata fino al 2004. Dal 1990 si fa spazio la necessità di istituire un ufficiale movimento di donne per definire la propria autodifesa. Il movimento fa riferimento alla "teoria della rosa" poiché le donne sono come rose: l'uomo dominante cerca di privarle dei loro meccanismi di autodifesa sfruttando la loro bellezza. Le Combattenti capiscono che l'unico modo per portare avanti la lotta per la libertà è creare un loro esercito autonomo, che viene fondato nel dicembre 1993. Ed era ritenuto necessario che nelle menti degli uomini fosse anche sradicato il pensiero di donna come "diversa". L'esercito delle donne è anche una critica ai principi degli stati-nazione poiché, secondo le militanti, l'imposizione della violenza per il dominio è sbagliata."La guerra non è un obiettivo, ma uno strumento che si è costretti ad usare contro i duri attacchi del nemico". L'obiettivo del Movimento è l'eliminazione delle ragioni che portano alla formazione di eserciti. "È necessario sviluppare un'ideologia che risolva i problemi della guerra fino a rendere possibile la pace che è connessa alla libertà"(Rêber Apo). I principi fondamentali su cui si basa il movimento di liberazione delle donne del Kurdistan sono: libertà, organizzazione, lotta, etica. La rivoluzione delle donne è amore, è vendetta contro il sistema dominante che le ha oppresse per cinquemila anni. È rivoluzione di donne libere che genera donne libere, con l'appellativo di "Heval"(che in curdo significa "compagna" o "amica"). Questo articolo è dedicato a loro, è dedicato a chi per la libertà ha conosciuto la morte prima di altre, è dedicato ad ogni donna che è come un fiore d'acciaio che sboccia dal cemento e dalle polveri del Kurdistan, è dedicato a chi è oppresso dal patriarcato, a chi non è indifferente, a chi dal regime è stata privata anche del suo vero nome come Jina Amini (vero nome curdo di Mahsa Amini), a chi non ha diritti, è dedicato a noi tutti che ogni giorno "di fronte al sessismo gridiamo DONNA, in faccia alla morte mettiamo la VITA, e difronte alla schiavitù lottiamo per la LIBERTÀ. DONNA, VITA, LIBERTÀ: JIN, JIYAN, AZADÎ."

Maria Martone 


Fonti: manifesto della rivoluzione delle donne in Kurdistan.

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