Basta strofinare poco sullo schermo attraverso cui guardiamo il mondo, che le macchie scompaiono e noi ci ritroviamo ad indagare le parti celate. Ingenui, distinguiamo città, villaggi, persone, con occhio incuriosito ci addentriamo sempre più a fondo.
È allora che si abbatte su di noi la frusta del nostro mondo: tutt’a un tratto inizia la caduta. Siamo in Bosnia, nel campo profughi di Lipa.
Lo chiamano “game”, il tentativo di entrare in territorio UE dopo aver attraversato i confini dei Paesi balcanici: la roulette russa dei migranti. Ed è così, che quando vengono respinti dalla Croazia, dalla Slovenia e dall’Italia, vengono risucchiati in campi di raccolta come quello sulla collina di Lipa, fuori dalla città di Bihàc, in Bosnia.
Sono milleduecento i migranti provenienti dall’Afghanistan, Pakistan e Bangladesh che hanno perso il fatidico game e sono stati riuniti lì, nel campo di Lipa, del quale oggi non ci rimangono che i resti: il 23 dicembre dell’anno scorso un incendio lo ha distrutto, e non è stato trovato per i profughi nessun nuovo alloggio. Al contrario, la polizia croata perseguita ferocemente i migranti e la popolazione civile bosniaca, organizza ronde per cacciare e torturare coloro che cercano riparo nelle città. Al contempo, le forze dell’ordine si oppongono all’apertura di qualsiasi sistemazione alternativa, indifferenti alle rigidissime temperature con le quali i profughi devono fare i conti in pieno inverno.
Ai migranti senza un tetto, quindi, viene impedito sia di proseguire il proprio percorso che di cercare un riparo. Confinati sulla collina di Lipa in un perimetro delineato da filo spinato, oppressi e terrorizzati dal mondo circostante ed invisibili perchè clandestini, i profughi in fin di vita non sono più una minaccia all’inespugnabilità della Fortezza Europea.
Rossella Calce
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