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Immagine del redattoreRedazione Sisma

Attacchi a un diritto? O semplici restrizioni?

L’Ungheria di Viktor Orban, dal 2010 ad oggi, è stata soggetta ad una politica conservatrice che ha dato molto peso a temi come la “famiglia tradizionale” ed ha introdotto norme per controllare la decrescita demografica. Nel mese di settembre è stato compiuto un altro passo indietro per quanto concerne l’aborto. In questo caso la situazione era già in precedenza abbastanza precaria, con difficoltà di accesso alla pratica e simili.


La legge ungherese prevede che si possa abortire in quattro casi: gravidanza in conseguenza di un reato o violenza sessuale, pericolo per la salute della donna, embrione con handicap fisico grave, situazione sociale insostenibile della donna.

Dal 15 settembre chiunque voglia effettuare un aborto dovrà “ascoltare il battito del feto”. Il tutto tra virgolette perché un feto di sei settimane (in realtà meno, siccome si conta dalle ultime mestruazioni) non possiede un cuore formato in grado di battere.

Il rumore che si percepisce con uno stetoscopio è dato dall'apertura e chiusura delle valvole cardiache, valvole che in un feto di appena sei settimane non si sono ancora costituite. Per questa ragione, è biologicamente impossibile “sentire il battito”. Si tratta invece di un impulso elettrico tradotto nel suono che si sente per mezzo dell’ecografo.

I gruppi che applicano una politica antiabortistica tendono a riferirsi ad un feto di meno di sei settimane come se fosse semplicemente simile ad uno di 8 mesi, ma più piccolo. Biologicamente parlando, non è così. I processi inerenti ad una gravidanza non sono istantanei, ma necessitano di tempo. Di conseguenza, è scorretto propriamente da un punto di vista medico costringere donne ad ascoltare il “battito” del loro feto.

L’Ungheria non è l’unico luogo in cui, di recente, siano state imposte restrizioni all’aborto. Durante quest’estate, la Corte suprema statunitense ha annullato il diritto all’aborto a livello federale, dando libera scelta ai singoli stati, molti dei quali, tra cui Texas e Kentucky, hanno prontamente deciso di imporre limitazioni.

In Italia ci sono posizione distinte e controverse, ma per ora non sono state proposte variazioni sulla legge 194. Quest’ultima, introdotta il 22 maggio 1978 si occupa appunto di regolamentare la prassi, normandone la procedura.

Importante è tenere a mente che studi come quelli compiuti dall’Istituto Guttmacher hanno dimostrato come le restrizioni sugli aborti, non li prevengono.

Tralasciando la questione bioetica, risulta impossibile negare i rischi per la salute delle donne derivanti da suddette restrizioni. Bisogna considerarla quindi come una problematica inerente a diritti umani, quali, ad esempio, il diritto alla salute, fortemente messa a repentaglio, sia da un punto di vista fisico che mentale.

C. Massa

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