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Immagine del redattoreRedazione Sisma

Aleksei Navaln'yj


Il 4 giugno 1976, a Butyn, nei pressi di Mosca, nasce Alexei Navalny. Diviene il dirigente della fondazione anticorruzione, il più temibile oppositore di Putin. Consegue due lauree: la prima, nel 1997, in Legge presso l’Università dell’Amicizia dei Popoli di Mosca, e successivamente in Economia, presso l’Accademia della Finanza del governo russo. Nel 2000 sposa Yulia Navalnaya, con la quale ha due figli. Entra nel 1999 a far parte del partito Yabloko, caratterizzato da un liberale attivismo politico, dove si incontreranno i maggiori oppositori di Vladimir Putin. Dal 2000 al 2010 Navalny si avvicina agli ideali del nazionalismo russo. A seguito di un intervento militare russo nel Caucaso, la capitale diventa scenario di un terrorismo guidato da sentimenti xenofobi ed islamofobi. Putin, per ristabilire l'ordine, inaugura un sistema sanguinario basato sulla repressione di capi politici e concentra il suo potere nel Caucaso. Navalny, nel 2006, partecipa alla “Russki March”, la marcia russa che raduna le forze xenofobe dell’ultra destra. Fonda così nel 2007 il Movimento Patriottico Narod, e proprio in quegli anni paragona gli abitanti musulmani del Caucaso agli scarafaggi. Il movimento di opposizione è in fermento tra il 2011 e il 2013, facendosi protagonista di una serie di manifestazioni conosciute come “rivoluzione bianca”. Incalza cosi l'azione mediatica dell'attivismo dell’opposizione putiniana e Navalny ne è tra i leader insieme a Boris Nemtsov. Dopo poco, il dibattito politico interno è segnato dal conflitto con l’Ucraina, e dall’intervento russo in Siria: Nemtsov, che si era opposto all’intervento russo nel 2014, viene ucciso nei pressi del Cremlino. In questo periodo, Navalny viene condannato agli arresti domiciliari con un’accusa di corruzione che lui stesso definisce “fabbricata ad arte”. In un’intervista alla radio Echo di Mosca, dove Aleksey Venediktov (caporedattore) gli porge la domanda “Se lei diventasse presidente restituirebbe la Crimea all’Ucraina?”, risponde: “La Crimea non è mica un panino al prosciutto che si prende e si restituisce così!”. Ed è proprio questa risposta che scatena l’ira dell’Ucraina e attira le critiche di vari oppositori come Garry Kasparov.

Cominciano gli attentati all’incolumità di Navalny: viene quasi accecato nel 2017 mentre usciva dal suo studio di Mosca con uno spray tossico. Viene avvelenato nel 2019 mentre era recluso in carcere, ma sopravvive. Nel 2020 si reca a Omsk, dove il suo partito acquista sempre più consenso tra i giovani. Prima di imbarcarsi a Tomsk, viene avvelenato nuovamente mentre beveva una tazza di tè nell’attesa di imbarcarsi per Mosca. Viene trasferito all’ospedale di Omsk in condizioni molto gravi. I suoi collaboratori richiedono di trasferirlo all’ospedale Charite di Berlino, arrivando a fare appello alla Corte europea per i diritti umani. Dopo mesi di convalescenza decide di tornare in Russia, nella sua patria, scegliendo di sacrificarsi, di lottare fino alla fine per il suo ideale di rinascita russa anche a costo della vita. Il suo volo proveniente da Berlino atterra all’aeroporto di Sheremetyevo di Mosca: la sera stessa del 17 gennaio viene arrestato con l’accusa di frode. È condannato a trenta giorni di carcere. Il 2 febbraio a Simonovsky District Court, il tribunale distrettuale decide di condannare Aleksei Navalny a due anni e otto mesi di colonia penale.

Proprio in Siberia, ad Omsk, il 23 gennaio, il freddo russo non è riuscito a fermare i manifestanti in lotta per la scarcerazione di Navalny. Non era una semplice manifestazione: c’erano -23 gradi, il freddo trapanava le ossa, congelava tutto, anche le lacrime, ed è proprio da lì che emergono i simboli della protesta, ossia la corona di rose, i capelli biondi, la mascherina, e lo sguardo raggelato. Manifestare a Omsk non è come a Napoli: significa combattere contro la morte, il freddo, l’arresto, il licenziamento. Lo slogan? "Io ci sono perché lui c’è".

Il politico avrebbe potuto salvarsi rimanendo in Germania e guidare l’opposizione da lontano, tuttavia ha deciso di tornare, di stare in mezzo al suo popolo, di lottare da vicino. Navalny rappresenta il nuovo paladino della disobbedienza civile russa, erede dell'attivismo del socialismo cristiano del grande Tolstoj che incitava alla lotta con queste parole: «Popolo lavoratore e cristiano […] dinanzi a Dio, dovete e potete fare una cosa soltanto: non aderire al governo […] non prestar servizio nella polizia, in nessuna istituzione governativa […] è il governo ad aver bisogno di voi, e non voi ad aver bisogno del governo» (Lev N. Tolstoj, Appello ai russi, in Igor Sibaldi, pp. 570-571).

Siamo di fronte ad una nuova epoca con diverse vicissitudini politiche, ma il coraggio dell'attivismo dei diritti umani ancora grida impavido la sua forza di generazione in generazione. Dall'Est all'Ovest, un'unica voce. Valgano le parole del maggiore esponente della disobbedienza civile negli stati Uniti: «Andai nei boschi perché desideravo vivere con saggezza... per non dover scoprire in punto di morte di non aver vissuto. Volevo vivere profondamente, succhiare tutto il midollo di essa, volevo vivere da gagliardo spartano, per sbaragliare ciò che vita non era, e riporre la vita lì, in un angolo, ridotta ai suoi termini".


Maria Martone

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