Perché l’8 marzo?
A San Pietroburgo, l'8 marzo 1917 le donne della capitale guidarono una grande manifestazione per la fine della guerra. Questa fu solo la prima di molte che portarono al crollo dello zarismo, segnando l'inizio della Rivoluzione russa di febbraio. Successivamente, la Seconda conferenza internazionale delle donne comuniste fissò all'8 marzo la «Giornata internazionale dell’operaia».
Il 16 dicembre 1977 l'Assemblea generale delle Nazioni Unite propose a ogni paese, nel rispetto delle tradizioni storiche e dei costumi locali, di dichiarare un giorno all'anno "Giornata delle Nazioni Unite per i diritti delle Donne e per la pace internazionale”. Adottando questa risoluzione, l'Assemblea riconobbe il ruolo della donna negli sforzi di pace, l'urgenza di porre fine a ogni discriminazione, di aumentare gli appoggi a una piena e paritaria partecipazione delle donne alla vita civile e sociale. L'8 marzo fu scelta come la data ufficiale da molte nazioni.
Le false origini:
Nel secondo dopoguerra, cominciarono a circolare fantasiose versioni, secondo le quali l'8 marzo avrebbe ricordato la morte di centinaia di operaie nel rogo di una inesistente fabbrica di camicie Cotton o Cottons avvenuto nel 1908 a New York, facendo probabilmente confusione con una tragedia realmente verificatasi in quella città, l'incendio della fabbrica Triangle, nella quale morirono 146 lavoratori.
Perché l’8 marzo non è la “festa” della donna
L’8 marzo è’ la Giornata Internazionale della Donna, non la “festa” della donna. La differenza può sembrare una sottigliezza meramente nominale, ma in realtà è molto più di ciò. Questa giornata non può essere definita una “festa” poiché non si può festeggiare nulla.
Solo in Italia, nel 2021, 118 donne sono state private della propria vita, 70 delle quali da partner o ex-partner.
Non si può festeggiare quando nel mondo ci sono ancora ragazze che vengono sottoposte a martorianti operazioni come l’infibulazione, oppure vengono costrette a sposarsi.
Non si può festeggiare perché ogni giorno una donna subisce discriminazioni.
Non si può festeggiare perché qualunque donna ha subito o conosce qualcuno che abbia subito violenze.
Non si può festeggiare, perché sarebbe chiudere gli occhi sulla realtà cruda e dura; regalare delle mimose un giorno per compensare centinaia di ore passate a “fare commenti”, oggettificare il corpo altrui.
Non si può festeggiare perché in Italia il 31,5% delle 16-70enni (6 milioni 788 mila) ha subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale: il 20,2% (4 milioni 353 mila) ha subìto violenza fisica, il 21% (4 milioni 520 mila) violenza sessuale, il 5,4% (1 milione 157 mila) le forme più gravi della violenza
sessuale come lo stupro (652 mila) e il tentato stupro (746 mila).
Non si può festeggiare perché, se qualcuno in classe chiedesse di alzarsi a tutte le ragazze che hanno subito molestie o conoscono qualcuno che le abbia subite, saremmo tutte in piedi.
Non si può festeggiare perché dall’inizio del 2022 già 5 donne sono state vittime di femminicidio: Nadia Bergamini (Latina), la moglie di E.N. (di cui non si sa neanche il nome), Simona Michelangelo (Roma), Rosa Alfieri (Grumo Nevano) e Daniela Cadeddu (Zeddiani).
Non si può festeggiare perché i dati delle violenze sono talmente esorbitanti che ormai vengono trattati come numeri e non come il conto di vite.
Non si può festeggiare perché per un ragazzo “era ubriaco” è una scusante, mentre per una ragazza “era ubriaca” è una colpa.
Non si può festeggiare perché molte donne non si rendono neanche conto di aver subito o star subendo violenza da molto, troppo tempo, poiché è normalizzato.
Non si può festeggiare perché ci sono casi e casi di stupri avvenuti da parte del proprio partner perché si dà per scontato che aver acconsentito una volta, significa essere sempre d’accordo.
Non si può festeggiare perché essere donna significa dover lottare per ciò che un uomo ha per scontato.
Non si può festeggiare perché “si fa per ridere, come sei pesante”.
Non si può festeggiare per mille altri motivi.
Possiamo però celebrare le lotte delle nostre predecessore ed approfittare di questo giorno come di un momento di riflessione. Poco alla volta si sono compiuti grandi progressi, conquistato diritti, assunto doveri. Però le lotte femministe non riguardano solo la sfera politica, ma anche le mentalità: finché un uomo si sentirà in diritto di oggettificare una donna, di martoriare un corpo femminile, si dovrà lottare.
Magari un giorno potremo festeggiare l’8 marzo come un giorno commemorativo di tutte le sofferenze che le donne dovevano subire. Ma per ora si deve usare il tempo presente e possiamo solo impegnarci e lottare per arrivare al momento in cui potremo usarlo al passato.
Carla Marcela Massa
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